venerdì 20 marzo 2009

L'Età dell'oro


L’ Età dell’oro

Il saggio non è che un fanciullo
Che si duole di essere cresciuto
Vincenzo Cardarelli

Correlata all’idea di Utopia troviamo quella di Età dell’oro. Innumerevoli sono gli autori che ce ne parlano: dai classici greco romani, all’Antico Testamento, dai Filosofi Neoplatonici ai Maghi del Rinascimento per finire al romanticismo tedesco di Holderlin fino a Dostojeskij. E’ al poeta Esiodo che si deve la prima elaborazione di questo mito narrato ne Le opere e i giorni e poi ripreso da Virgilio nella quarta delle Bucoliche (42-39 a. C.).
Il comune denominatore di questi racconti riguarda luoghi (isole beate nell’Atlantico, poi generalmente l’Arcadia in Grecia) ricche di prati, fiori, ninfe-satiri, frutti offerti dalla natura, amore spontaneo. Si tratta di un’ utopia nostalgica e retrodatata, di origine letteraria e mitologica che parla di un’età caratterizzata dalla perfetta unione ed armonia tra l’umano e il divino. Tempo remoto in cui all’uomo era dato vivere in maniera simile agli dei, libero da ogni necessità, esente da tristezze e dolori. L’età dell’oro è un’epoca anteriore al tempo inscritta in una meta storia costituita di un eterno presente felice. Quando Platone, nel Timeo e nel Crizia descrive una Atene felice, egli non pensa ad una città futura, ma a quella fu novemila anni prima ed il cui segreto è perduto nel tempo. In questo caso il rimpianto per il paradiso perduto si ricongiunge con il tema di utopia. Utopia che è legata al ricordo di un passato leggendario, dal valore fondante e fondativo. Il ricorso ad un tempo immaginato ed astorico è spesso costitutivo di questo pensiero. Esso legittima teorie e dogmi che stabiliscono le condizioni razionali per giustificare progetti sociali, soluzioni politiche o morali, altrimenti insostenibili.
L’utopia trae così forza dal mito e cerca in esso il proprio fondamento. Come a dire che per sognare il futuro ideale è necessario trarre ispirazione da un passato ideale.
L’età dell’oro riguarda una mitica infanzia dell’umanità caratterizzata da un tempo eterno che si contrappone a quello storico degli uomini. Un tempo situato all’inizio e al di fuori del divenire. L’età dell’oro è il luogo ideale delle metamorfosi, dove nulla è ancora stabilizzato, nessuna regola ancora promulgata, nessuna forma ancora fissata, dove gli uomini si trasformano in animali e viceversa, dove l’universo è eterno. L’età di Saturno e di Crono dove convivono gioia e dolore, luce e tenebra (coincidentia oppositorum). Fare ritorno a questo periodo dell’umanità significa ritrovare una sacra unità con il cosmo, ristabilire il legame con l’universo favoloso, con l’al di là, con gli antenati; liberarsi dalla legge morale che ci impone il vivere adulto. Questo mito è un richiamo all’infanzia come preistoria della vita nella quale si vive l’ebbrezza di un contatto profondo con la natura, un sentimento di comunione con il tutto, è la fase della vita nella quale non siamo ancora incorsi nell’assunto heideggardiano dell’essere per la morte.
Si tratta del cosmo animato dalla presenza del dio e di una natura vivente, consapevole e partecipe delle vicende umane. Questo mito parla di una alleanza tra uomo e natura che è in antitesi con lo iato esistente a livello storico. L’età dell’oro è precedente alla cacciata dall’Eden. In questo tempo immaginato l’alleanza tra uomo e dio non è ancora stata infranta; quindi non si partorisce nel dolore e neppure si muore tra sofferenze. Non c’è morte, né inizio né fine. L’argomento sviluppato dai diversi miti delle età dell’oro è la felicità degli antichi cantata dal Leopardi, dei quali ogni movimento è pensato come se fosse dettato da una irrepugnabile inclinazione al primitivo che si manifesta direttamente al tempo dell’infanzia.
Il tema del ritorno ad una mitica infanzia nella quale si gode di un contatto autentico con la natura e con gli dei sarà il motivo di molta letteratura romantica che darà vita ad un’idea di utopia come fuga dalla realtà.
Grazie a questo mito riappaiono gli dei e noi, come loro, diveniamo esseri atemporali, proprio come i due amanti protagonisti di Ode a un’urna greca di Jonh Keats.
Audace amante e vittorioso,
mai mai tu potrai baciare,
pur prossimo alla meta, e tuttavia non darti affanno: ella non può sfiorire
e, pur mai pago,
quella per sempre tu amerai, bella per sempre.

Il loro amore scolpito nel marmo è destinato ad essere eterno ed incorrotto.. Nel loro mondo e nel loro tempo non esiste rimpianto per le cose perdute in quanto tutto, imperituro, resta uguale a se stesso. Il non incontrarsi delle loro labbra –il bacio più bello è quello mai dato- è il tentativo di cristallizzare un amore che, sospeso, rifiuta le lusinghe del tempo storico.
Una rappresentazione utopica della prossimità perpetua, di un incontro che diventa eterno grazie ad una distanza impossibile da colmare.
In quelle labbra protese che mai si toccheranno coesistono in modo ambivalente l’amore per la vita ed il terrore per la stessa.
L’uscita dal tempo del mito e dell’infanzia significa il congedo da quel che è stato ed accettare l’apertura di un orizzonte in cui interviene la storia declinata secondo un prima ed un dopo.
Ah, rami, rami felici! Non saranno mai sparse
Le vostre foglie, e mai diranno addio alla primavera
J.Keats, Ode a un’urna greca.
Gli uomini vivono un tempo che è quello degli dei. Non esiste morte, non c’è inizio né fine. Una sospensione dai tumulti del mondo, uno stato di grazia, una felicità gratuita di cui in illo tempore ogni uomo ha goduto.
E’ esattamente questo il tema dell’Età dell’oro, e cioè il ritorno ad un ur-zeit nel quale é possibile una vita felice in comunione con il divino.

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