Per Cesare Pavese conoscere é ricordare.
Si tratta di Platonismo?
Secondo Pavese esiste un concepire mitico dell’infanzia che si pone come a-priori per la coscienza, un sollevare eventi unici ed assoluti, che vivranno nella nostra mente come schemi normativi e che, in futuro, faranno di ogni esperienza sempre una seconda volta, un ritrovamento:
(…) ben poco la vita adulta può attingere al tesoro infantile di scoperte.
Si può bensì riportare alla luce quelle forme primigenie e contemplare la fresca salute, come di radici che il terriccio dei giorni ha continuato a nutrire. Poi da cosa nasce cosa, e anche i giorni futuri germoglieranno su questi ceppi (…)
C. Pavese, Mal di mestiere (Feria d’agosto)
La conoscenza mitica è infatti un conoscere il mondo che avviene al di là della nostra razionalità, attraverso modalità che sono proprie dell’esperienza religiosa.
Si conosce per grazia, per ispirazione, per estasi dove per estasi si intende una sommossa dei sensi, un abbandonarsi alle cose come in un orgasmo:
(…) E’ una crisi, una sommossa delle facoltà buone che ingannate da un urto dei sensi, presumono di guadagnare abbandonandosi alle cose. E queste afferrano, travolgono, inghiottono come un mare agitato (…). C’è in esse qualcosa di osceno: esattamente lo stesso che abbandonarsi al sesso e volerne narrare le sensazioni segrete.
C. Pavese, Mal di mestiere (Feria d’agosto)
Il mito risiede nell’essere sottratto all’accadere. Il che è avvenuto idealmente una volta per tutte e il carattere dell’individuo si intravede nell’essere attratto e conformato da qualcosa che sta al di là della propria esperienza storica come ricorda Guiducci (1967).
Il mito non è semplicemente un racconto narrato, bensì una realtà vissuta, una viva realtà che si crede avvenuta all’inizio dei tempi e che, da allora, continua ad esercitare la sua influenza sul mondo e sul destino degli uomini.
(…) ben poco la vita adulta può attingere al tesoro infantile di scoperte.
Si può bensì riportare alla luce quelle forme primigenie e contemplare la fresca salute, come di radici che il terriccio dei giorni ha continuato a nutrire. Poi da cosa nasce cosa, e anche i giorni futuri germoglieranno su questi ceppi (…)
C. Pavese, Mal di mestiere (Feria d’agosto)
La conoscenza mitica è infatti un conoscere il mondo che avviene al di là della nostra razionalità, attraverso modalità che sono proprie dell’esperienza religiosa.
Si conosce per grazia, per ispirazione, per estasi dove per estasi si intende una sommossa dei sensi, un abbandonarsi alle cose come in un orgasmo:
(…) E’ una crisi, una sommossa delle facoltà buone che ingannate da un urto dei sensi, presumono di guadagnare abbandonandosi alle cose. E queste afferrano, travolgono, inghiottono come un mare agitato (…). C’è in esse qualcosa di osceno: esattamente lo stesso che abbandonarsi al sesso e volerne narrare le sensazioni segrete.
C. Pavese, Mal di mestiere (Feria d’agosto)
Il mito risiede nell’essere sottratto all’accadere. Il che è avvenuto idealmente una volta per tutte e il carattere dell’individuo si intravede nell’essere attratto e conformato da qualcosa che sta al di là della propria esperienza storica come ricorda Guiducci (1967).
Il mito non è semplicemente un racconto narrato, bensì una realtà vissuta, una viva realtà che si crede avvenuta all’inizio dei tempi e che, da allora, continua ad esercitare la sua influenza sul mondo e sul destino degli uomini.
Nessun commento:
Posta un commento