Il cuore di una città
Marsiglia non è meta per gite domenicali. E’ invece l’ideale per perdersi e perdere tempo. La sua luce, l’odore, i rumori sono il pretesto per concedersi una via d’uscita dalla quotidianità, per vivere, come direbbe il grande Paolo Conte, una storia di contrabbando.
Percorrere le strade della città vecchia cullati dallo spirito del luogo, confondersi in quel crogiuolo di razze dà un senso di misterioso piacere. Marsiglia è luogo di confine tra Europa e paesi del sud, un’interzona fra il qui ed un altrove che ha il sapore dell’esotico, dell’estrema lontananza.
Passeggiare per il Panier, significa sentire palpitare il vecchio cuore della città. Un cuore che parla le lingue del mondo, dell’esilio.
Quelle case, quelle vie strette, gli odori di cibo che si confondono con quelli della sporcizia dei vicoli, possiedono la memoria del luogo di mare.
A ben pensarci non è molto diversa da Tangeri, Istambul, Napoli, Genova e Barcellona. Stesse stradine strette, tortuose, pullulanti di gente, di odori, colori.
Seguendo la costa si scoprono quartieri, paesi dai nomi romanzeschi: Catalans, Vallon-des Auffes, Malmousques, il ponte della Fausse-Monnaie, Prophète. E poi la gran luce che, nelle ore più roventi, costringe ad abbassare lo sguardo, la stessa luce che affascinò Cézanne e che attirò Rimbaud, poco prima di morire.
Marsiglia è anche un grembo accogliente, una grande madre tra le cui braccia si guarda il mondo senza doversene andar via.
« Dal foro di Saint Marie non giro le spalle alla città, no. Mi appoggio, invece. E guardo il mare. Il largo»
J.C. Izzo, Aglio,menta e basilico, 2006.
Marsiglia, patria dell’esilio, città dei senza patria, ma che sa essere base sicura per coloro che la abitano e la amano. Quando non si ha fretta non c’è nulla di più piacevole che camminare senza una meta precisa in cerca di sensazioni e di scorci da osservare.
« Credo in questo, in ciò che ho imparato nelle strade di Marsiglia, e che porto sulla mia pelle: l’accoglienza, la tolleranza, il rispetto dell’altro. (…) non c’è nessun rischio nel parlare questa lingua. Solo felicità. Mi piace credere che Marsiglia, la mia città non sia una meta in sé. Ma soltanto una porta aperta. Sul mondo, sugli altri. Una porta che rimanga aperta, sempre. »
La gente che s’incontra nei locali del centro storico dà l’impressione di capirsi, di sentirsi legata da identici destini.
« Chi veniva a bersi un pastis, sicuramente non votava Fronte Nazionale, e non l’aveva mai fatto. L’amicizia che aleggiava qui tra i vapori dell’anice, si comunicava con uno sguardo. Quello dell’esilio dei nostri padri. Ed era rassicurante. Non avevamo niente da perdere, avendo già perso tutto »
Il piacere della vita, a Marsiglia, può essere entrare in un bar, ordinare un mauresque e, tra nuvole di fumo, osservare la varia umanità che si avvicenda ai tavoli e al bancone.
«E’ per questo che amo questa città, la mia città. E’ bella per questa familiarità, che è come pane da spartire fra tutti. E’ bella solo per la sua umanità.»
A quel punto, tra quei volti segnati da mille storie, non sarà difficile immaginare di imbattersi in Fabio Montale, il personaggio, l’antieroe creato dalla fantasia di Jean Claude Izzo.
Il commissario Montale, l’ex poliziotto, che ebbe come suo primo maestro di vita, Antonin, libraio anarchico. Fu grazie a lui che scoprì l’importanza della letteratura e della musica.
« I libri, fu Antonin un vecchio libraio anarchico di cours Julien, a farceli apprezzare. Facevamo sega a scuola per andarlo a trovare. Ci raccontava storie di avventurieri e pirati. Il mar dei Caraibi. Il mar Rosso. I mari del Sud »
Fabio Montale è un poliziotto particolare che per sensibilità ed idee politiche s’ avvicina più alla figura di un assistente sociale o a quella di un educatore di strada.
« In un'altra epoca mi sarei potuto imbarcare su un transatlantico: L’Argentina. Buenos Aires (…)
avevo quel piacere di vivere degli uomini, e ecco che la terra esala la sua anima straniera (…)
Da piangere
Poi ero diventato poliziotto, senza sapere bene perché, né come. »
E’ investigatore in proprio, sullo sfondo di una Marsiglia dalle tinte fosche, tra trafficanti d’armi, integralisti islamici e mafiosi d’alto bordo.
Nella trilogia di romanzi polizieschi - Casino Totale, Chourmo e Soléa - Montale annega le sue tristezze nel lagavulin whisky scozzese, nel pastis provenzale, nella zuppa di pesce, e nella musica soul. Inoltre possiede una barca custodita in un cabanon alle Goudes - vecchio villaggio di pescatori dei quartieri a sud di Marsiglia – con la quale va per mare all’alba per smaltire la tristezza. E infine si consola con la buona cucina del suo Midi, unico conforto, insieme all’amicizia, in un’esistenza che spesso non lascia speranza e soccombe alle schifezze del mondo. Questi sono i momenti in cui la vita s’impone nonostante tutto. Poi le storie di una notte, i duelli con una criminalità che come un male oscuro si porta via con sé affetti ed amori. Storie fatte di solitudini che s’incontrano, di sapori che provengono dai remoti recessi della memoria e come eco rassicurante mitigano un presente di morte e dolore. I momenti conviviali diventano così un’ occasione di compensazione, il ritorno al confortevole seno materno, attimi di redenzione nei quali Montale riesce ad estraniarsi dai suoi fantasmi.
Mangiare, bere, mangiare, per sconfiggere l’odore della morte. Come molti altri personaggi del noir, Montale, è un appassionato di cucina. Il cibo per lui è spesso un sedativo. Ma, va detto, mai utilizzato in modo compulsivo. Montale sa fermarsi e anche nei momenti più disperati sa godersi la pausa del desco in religiosa contemplazione. Il cibo che assimila non diventa solo carne, ma contribuisce ad alimentare in lui, la memoria, quel prezioso bagaglio lirico che è alla base della sua ricca umanità. Cibo, dunque, come trade d’union tra il presente ed il passato che risveglia ricordi che tiene salde amicizie ed amori come quella per il vecchio Fonfon e per la bella Lole.
Percorrere le strade della città vecchia cullati dallo spirito del luogo, confondersi in quel crogiuolo di razze dà un senso di misterioso piacere. Marsiglia è luogo di confine tra Europa e paesi del sud, un’interzona fra il qui ed un altrove che ha il sapore dell’esotico, dell’estrema lontananza.
Passeggiare per il Panier, significa sentire palpitare il vecchio cuore della città. Un cuore che parla le lingue del mondo, dell’esilio.
Quelle case, quelle vie strette, gli odori di cibo che si confondono con quelli della sporcizia dei vicoli, possiedono la memoria del luogo di mare.
A ben pensarci non è molto diversa da Tangeri, Istambul, Napoli, Genova e Barcellona. Stesse stradine strette, tortuose, pullulanti di gente, di odori, colori.
Seguendo la costa si scoprono quartieri, paesi dai nomi romanzeschi: Catalans, Vallon-des Auffes, Malmousques, il ponte della Fausse-Monnaie, Prophète. E poi la gran luce che, nelle ore più roventi, costringe ad abbassare lo sguardo, la stessa luce che affascinò Cézanne e che attirò Rimbaud, poco prima di morire.
Marsiglia è anche un grembo accogliente, una grande madre tra le cui braccia si guarda il mondo senza doversene andar via.
« Dal foro di Saint Marie non giro le spalle alla città, no. Mi appoggio, invece. E guardo il mare. Il largo»
J.C. Izzo, Aglio,menta e basilico, 2006.
Marsiglia, patria dell’esilio, città dei senza patria, ma che sa essere base sicura per coloro che la abitano e la amano. Quando non si ha fretta non c’è nulla di più piacevole che camminare senza una meta precisa in cerca di sensazioni e di scorci da osservare.
« Credo in questo, in ciò che ho imparato nelle strade di Marsiglia, e che porto sulla mia pelle: l’accoglienza, la tolleranza, il rispetto dell’altro. (…) non c’è nessun rischio nel parlare questa lingua. Solo felicità. Mi piace credere che Marsiglia, la mia città non sia una meta in sé. Ma soltanto una porta aperta. Sul mondo, sugli altri. Una porta che rimanga aperta, sempre. »
La gente che s’incontra nei locali del centro storico dà l’impressione di capirsi, di sentirsi legata da identici destini.
« Chi veniva a bersi un pastis, sicuramente non votava Fronte Nazionale, e non l’aveva mai fatto. L’amicizia che aleggiava qui tra i vapori dell’anice, si comunicava con uno sguardo. Quello dell’esilio dei nostri padri. Ed era rassicurante. Non avevamo niente da perdere, avendo già perso tutto »
Il piacere della vita, a Marsiglia, può essere entrare in un bar, ordinare un mauresque e, tra nuvole di fumo, osservare la varia umanità che si avvicenda ai tavoli e al bancone.
«E’ per questo che amo questa città, la mia città. E’ bella per questa familiarità, che è come pane da spartire fra tutti. E’ bella solo per la sua umanità.»
A quel punto, tra quei volti segnati da mille storie, non sarà difficile immaginare di imbattersi in Fabio Montale, il personaggio, l’antieroe creato dalla fantasia di Jean Claude Izzo.
Il commissario Montale, l’ex poliziotto, che ebbe come suo primo maestro di vita, Antonin, libraio anarchico. Fu grazie a lui che scoprì l’importanza della letteratura e della musica.
« I libri, fu Antonin un vecchio libraio anarchico di cours Julien, a farceli apprezzare. Facevamo sega a scuola per andarlo a trovare. Ci raccontava storie di avventurieri e pirati. Il mar dei Caraibi. Il mar Rosso. I mari del Sud »
Fabio Montale è un poliziotto particolare che per sensibilità ed idee politiche s’ avvicina più alla figura di un assistente sociale o a quella di un educatore di strada.
« In un'altra epoca mi sarei potuto imbarcare su un transatlantico: L’Argentina. Buenos Aires (…)
avevo quel piacere di vivere degli uomini, e ecco che la terra esala la sua anima straniera (…)
Da piangere
Poi ero diventato poliziotto, senza sapere bene perché, né come. »
E’ investigatore in proprio, sullo sfondo di una Marsiglia dalle tinte fosche, tra trafficanti d’armi, integralisti islamici e mafiosi d’alto bordo.
Nella trilogia di romanzi polizieschi - Casino Totale, Chourmo e Soléa - Montale annega le sue tristezze nel lagavulin whisky scozzese, nel pastis provenzale, nella zuppa di pesce, e nella musica soul. Inoltre possiede una barca custodita in un cabanon alle Goudes - vecchio villaggio di pescatori dei quartieri a sud di Marsiglia – con la quale va per mare all’alba per smaltire la tristezza. E infine si consola con la buona cucina del suo Midi, unico conforto, insieme all’amicizia, in un’esistenza che spesso non lascia speranza e soccombe alle schifezze del mondo. Questi sono i momenti in cui la vita s’impone nonostante tutto. Poi le storie di una notte, i duelli con una criminalità che come un male oscuro si porta via con sé affetti ed amori. Storie fatte di solitudini che s’incontrano, di sapori che provengono dai remoti recessi della memoria e come eco rassicurante mitigano un presente di morte e dolore. I momenti conviviali diventano così un’ occasione di compensazione, il ritorno al confortevole seno materno, attimi di redenzione nei quali Montale riesce ad estraniarsi dai suoi fantasmi.
Mangiare, bere, mangiare, per sconfiggere l’odore della morte. Come molti altri personaggi del noir, Montale, è un appassionato di cucina. Il cibo per lui è spesso un sedativo. Ma, va detto, mai utilizzato in modo compulsivo. Montale sa fermarsi e anche nei momenti più disperati sa godersi la pausa del desco in religiosa contemplazione. Il cibo che assimila non diventa solo carne, ma contribuisce ad alimentare in lui, la memoria, quel prezioso bagaglio lirico che è alla base della sua ricca umanità. Cibo, dunque, come trade d’union tra il presente ed il passato che risveglia ricordi che tiene salde amicizie ed amori come quella per il vecchio Fonfon e per la bella Lole.
1 commento:
Ecco. Come il prossimo tic tac ora ha più senso. Amo talmente questi libri che non sono mai riuscita a scriverne, a tradurre in parole le senzazioni che mi hanno fatto vivere. E consigliarli, anche quello è difficile. Amo talmente Izzo e le sue nostalgie che a Marsiglia ci sono andata, anche se purtroppo solo per un Sabato e una mezza Domenica. E ho toccato il Panier, bevuto un Pastis, ordinato una bouillabaisse e assaporato il mare dentro.
Grazie per questo splendido omaggio Pierre.
Valeria
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